martedì 7 aprile 2009

Fabbriche del cancro sul banco degli imputati

http://www.rassegna.it/articoli/2009/04/07/45441/fabbriche-del-cancro-sul-banco-degli-imputati

Più di 2.000 persone morte e 830 ammalate, tra lavoratori e cittadini, a causa dell’esposizione all’amianto. Una lunga e silenziosa strage di innocenti, quella su cui si è trovato a indagare il pubblico ministero Raffaele Guariniello a partire dal 2000

di Guido Iocca


Il più grande processo sulle morti bianche d’Europa. È quello che si è aperto a Torino il 6 aprile, con la prima convocazione dell'udienza preliminare, nei confronti dei vertici dell’Eternit, la più importante multinazionale dell’amianto. Unici due indagati della maxi-inchiesta condotta dal pm Raffaele Guariniello, il miliardario svizzero Stephan Schmidheiny, 62 anni, e il barone belga Jean Louis Marie Ghislain de Cartier de Marchienne, 88 anni. L’accusa: disastro doloso e inosservanza delle misure antinfortunistiche. Un comportamento omissivo, quest’ultimo, che riguarda un lasso di tempo che va dall’aprile del ’52 al febbraio del 2008 (la data dell’ultimo decesso) e che è stato la causa, secondo il procuratore della Repubblica del capoluogo subalpino, della morte (soprattutto per mesotelioma pleurico e carcinoma polmonare) di 2.056 persone e della malattia (nella maggioranza dei casi asbestosi) di altre 833. Sul banco degli imputati la gestione degli stabilimenti Eternit di Cavagnolo (Torino), Casale Monferrato (Alessandria), Rubiera (Reggio Emilia) e Bagnoli (Napoli). Anche se è soprattutto su Casale, il vero epicentro della tragedia (con circa 2.000 vittime, di cui 1.500 decessi), che si centra in questi giorni l’attenzione generale.“Il nostro principale impegno, nei quattro mesi che hanno preceduto l’udienza preliminare – spiega Bruno Pesce, coordinatore della vertenza amianto per Casale e Cavagnolo –, è stato nella distribuzione, mediante causa di risarcimento, di oltre 5 milioni e mezzo di euro liquidati dal fallimento ai lavoratori e ai loro eredi, facendo seguito a un precedente riparto di 7 miliardi di lire. Simbolicamente e con commozione, il primo assegno risarcitorio è stato consegnato a Romana Blasotti Pavesi, presidente dell’Associazione familiari vittime amianto, impegnata in questa lotta, quale superstite di cinque vittime della sua famiglia, da ben 28 anni”. Da Casale Monferrato erano in tanti, il 6 aprile, fuori e dentro l’aula magna del Palazzo di Giustizia di Torino: 400 persone, tra ex lavoratori e familiari di operai e di cittadini deceduti, organizzati dalla Cgil e dall’Associazione in 8 pullman (senza contare le foltissime delegazioni provenienti da Cavagnolo, Rubiera, Bagnoli e dagli altri paesi – Francia, Olanda, Svizzera e Belgio – dove la multinazionale aveva suoi stabilimenti). “È finalmente iniziato il processo – commenta Nicola Pondrano, responsabile della Camera del lavoro di Casale Monferrato – che come Cgil e Associazione dei familiari attendevamo da 30 anni, da quando abbiamo cominciato a batterci per ottenere giustizia, per vedere riconosciute le colpe di una multinazionale senza scrupoli, che si è arricchita sulla pelle di migliaia di lavoratori e di cittadini. Una battaglia che non finisce qui, perché la nostra è una vertenza globale. Ora vogliamo la messa al bando dell’amianto in tutti i paesi del mondo in cui a tutt’oggi il minerale si produce e si esporta”. Una lunga e silenziosa strage di innocenti, quella su cui si è trovato a indagare Guariniello, dopo aver seguito a partire dal 2000 centinaia di singoli casi di lavoratori colpiti dall’esposizione alla sostanza nociva. Uno stillicidio che gli epidemiologi prevedono non si esaurisca affatto presto, non prima del 2025, potendo durare l’incubazione di una malattia come il mesotelioma anche 30-40 anni. A quella data, le stime prevedono che l’amianto avrà fatto, solo in Italia, tra i 20 e i 30.000 morti (a puro titolo di cronaca: ogni anno, nella sola Casale, vengono diagnosticati 45 casi di mesoteliomi pleurici e peritoneali). Ma com’è stato possibile tacere per così tanto tempo la pericolosità dell’utilizzo del minerale killer nella produzione? Una domanda che oggi, alla luce dell’avvenuto disastro, si pongono in molti. Soprattutto quegli oltre 800 ex operai e impiegati che, nel periodo in cui sono stati alle dipendenze della multinazionale svizzera (alcuni addirittura dopo essere andati in pensione), hanno contratto una malattia correlata all’amianto: nessuno aveva loro spiegato, al momento dell’assunzione, i rischi che correvano lavorando a stretto contatto con le micidiali fibre utilizzate nei loro reparti. Gente, con l’asbestosi conclamata, che ha continuato a lavorare all’Eternit fino al suo fallimento e alla conseguente chiusura avvenuta nell’86 (“la polvere nei polmoni ormai l’avevo presa, e poi dove lo trovavo alla mia età un altro impiego”, racconta Pietro Tondello, 63 anni, per 9 addetto al facchinaggio all’Eternit di Casale). Ma loro, gli ammalati, possono anche – paradossalmente – ritenersi “fortunati”, perché la maggioranza dei loro compagni di lavoro non c’è più. Annientati, distrutti, annullati, anche a seguito di lunghe sofferenze (molti in età ancor giovane), da malattie dai nomi – e dalle conseguenze – terribili: mesotelioma pleurico, carcinoma polmonare, asbestosi. E con loro si sono ammalati o sono scomparsi tanti cittadini che nella fabbrica non avevano mai messo piede, con l’unica “colpa” di abitare (o di aver abitato) nei pressi delle fabbriche dove si producevano manufatti con le fibre incriminate. Ma anche mogli o figli di operai che hanno respirato l’asbesto polverizzato sulle tute da lavoro portate a casa per essere lavate durante il fine settimana. O addirittura, i familiari di dipendenti che, con il “polverino” residuo delle lavorazioni, asfaltavano le aie delle loro cascine in campagna.“Praticamente, senza spendere una lira, tenevano pulito il loro cortile – spiega Piero Ferraris, 77 anni, per quasi 20 impiegato nei reparti macchine lastre, tubi e chimica dello stabilimento di Casale Monferrato –. È andata avanti così per anni, fino a quando quelli dell’Eternit, di fronte all’aumentare delle richieste, quella robaccia hanno deciso di non darla più via gratis. Capito? C’era chi, ignaro di tutto, pagava l’azienda per portarsi quel veleno fin dentro casa, con le conseguenze drammatiche che lascio immaginare sui poveri familiari”.

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