lunedì 6 aprile 2009

L’ eco-conversione di Mister Eternit

http://www.lastampa.it/Torino/cmsSezioni/cronaca/200904articoli/10064girata.asp

Dall’amianto killer all’impegno per l’ambiente. “La fabbrica? A nominarla mi sentivo male”

PIERANGELO SAPEGNO

Non c’è una foto dove non sorride, tanto per cominciare. Occhiali grigi e la faccia simpatica di uno che sembra in pace con il mondo. Anche sul suo sito sorride, mentre sta lì, dietro al suo sguardo da filantropo, per raccontare che lo «credevano tutti pazzo» quando lui diceva di non usare più fibre di amianto, contro il parere dei suoi manager: «feci subito installare filtri e rimedi per ridurne la presenza nell’aria... Non sapevo come avrei fatto ma stabilii di eliminare l’amianto in ogni modo». Il problema è che l’amianto avrebbe ucciso lo stesso duemila persone prima di chiudere, e che per questo Stephan Schmidheiny, l’uomo che sorride, è finito sotto processo, unico rappresentante di una dinastia che ha esteso il suo impero in tutto il mondo, passando solo dal cemento agli orologi e dai pannelli dell’Eternit alle proprietà di Cayo Culebra in Honduras, affittate per l’Isola dei famosi, o ai vigneti in America, Australia e Argentina. Un po’ come lui, che è passato da quella poltrona sull’abisso delle morti alla sua nuova immagine di filantropo, promotore di attività eco-compatibili, consulente di Clinton e autore di libri come «Finanziare il cambiamento». L’unica cosa sarebbe capire se tutto questo è vero, o se basta per salvare una coscienza. Dal canto suo, Stephan ha anche offerto un indennizzo agli ex operai Eternit e ai loro eredi, attraverso la società Becon A.G., che fa ovviamente capo alla famiglia: «Una forma di solidarietà slegata dalle vicende processuali», come l’ha definita il suo avvocato, Astolfo di Amato. Ma quando ha dichiarato il suo scandalo per la vicenda Eternit ha sempre mischiato la sua professione di innocenza al pentimento, come se le colpe non potessero ricadere sulla sua figura. Che potrebbe essere anche giusto, se prima non fossero ricaduti i guadagni. Certo, oggi lui sembra un altro uomo. E’ il fondatore e il presidente del Business Council for Sustainable Growth, che riunisce ogni anno a casa sua, nel verde della penisola di Hurden, sul lago di Zurigo, 48 dei principali industriali del mondo, dal presidente della Volkswagen a quello della Dow Chemical. Nel 2003 ha partecipato alla nascita di Viva, un ente nel quale ha voluto fondere la logica imprenditoriale con quella sociale. Da più di 15 anni a questa parte finanzia di tasca propria associazioni e fondazioni ambientaliste, come l’Avina, che nell’America del Sud si occupa di cooperazione e assistenza sociale, e anche per tutto questo s’è preso pure due lauree ad honorem negli Stati Uniti. Lui data questa conversione alla sua gioventù: «Sono cresciuto in una fattoria con le vigne e la mia famiglia era solita compiere escursioni in montagna. Mio padre amava molto navigare e trascorrevamo spesso le vacanze nelle isole del Mediterraneo, dove ho imparato a fare le immersioni. Ed è stato proprio a partire da queste esperienze che ho cominciato a occuparmi di difesa dell’ambiente».Che sia davvero così, non si sa. Negli Anni 90 la conversione bucolica è già evidente, perché lui non solo sparisce giorni e giorni in montagna per ritemprarsi lo spirito, ma organizza anche il vertice mondiale sull’ambiente di Rio de Janeiro, consegnando al presidente George Bush padre un libro di 374 pagine con tutta la summa delle sue idee ambientaliste. Per arrivare qui, però, prima era passato dall’Eternit («Quando ce ne disfammo cominciai a respirare. Solo a sentirla nominare mi veniva male»). Ci era entrato nel 1975, ad appena 29 anni, quando il padre gli aveva affidato la presidenza. Solo che l’effetto cancerogeno dell’amianto era già conclamato da un bel pezzo prima, almeno dagli Anni Sessanta. E Stephan lo sapeva bene se proprio in quel periodo scriveva che questa «è un’industria senza futuro perché progressivamente ci impediranno di lavorare». Dalle carte del processo, invece, risulterebbe che in quegli stessi anni i vertici Eternit avrebbero organizzato lobby «per evitare l’introduzione di leggi volte a impedire la lavorazione e la commercializzazione dei manufatti con amianto».In compenso, Stephan aveva istituito il premio per la pace Eternit: lo consegnava lui direttamente, come risulta dalle foto che lo immortalano nelle ultime due edizioni, quando stringe la mano a Kofi Annan e Romano Prodi. Il premio esiste ancora. Solo che adesso si chiama Max Schmidheiny: è intitolato al padre, che era proprietario dell’Eternit Germania. Alcuni sindacalisti hanno raccontato che durante la guerra in quello stabilimento «c’era un lager interno e un campo di lavoro forzato con prigionieri che provenivano da tutta l’Europa, anche dall’Italia». Papà Max era quello che diceva: «Ho sempre investito il mio danaro. Sempre e dovunque. Così sono cresciuto». Ha avuto ragione lui. Ma è solo questo che fa storcere il naso. Che per qualcuno, prima dell’ambiente, prima delle colpe, prima di tutto, ci sia sempre un altro dio. Il danaro.

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